IL MATRIMONIO E' INDISSOLUBILE, LO DICE LA RAGIONE di Giacomo Samek
Lodovici
Il divorzio è una violazione della promessa solenne con cui
i coniugi si
impegnano per tutta la vita, donando la propria
identità (che non muta). Ed è
un grave torto nel confronti dei
figli. Nel dibattito sul divorzio che si
svolse trent'anni fa
all'epoca del referendum, e nei discorsi su questo tema
che si fanno
tutt'oggi, si deve rilevare un grande equivoco, cioè
l'erronea
convinzione secondo cui solo i credenti, mediante la fede,
possono
sostenere l'indissolubilità del matrimonio. Quest'opinione è
un
errore madornale, perché l'indissolubilità del matrimonio religioso
non
è solo una verità di fede, bensì anche una verità che qualunque
uomo può
comprendere, anche so non è cristiano, anche se é ateo,
mediante la sola
ragione. Sembra paradossale, ma possiamo dimostrare
che non lo è. Per
comprenderlo bisogna riflettere sul contenuto del
consenso che gli sposi
esprimono nel momento del matrimonio. Infatti
il matrimonio nasce dal
consenso libero degli sposi che si
promettono: a) l'amore esclusivo, la
donazione per tutta la vita; b)
l'apertura alla generazione/educazione dei
figli. Chi non promette
queste due cose, o le promette ma senza essere
sincero, non è mai
state sposato. Perciò in casi simili è improprio dire che
il
matrimonio tra due persone é annullato, perché più propriamente esso
è
nullo fin dal principio, vale a dire non c'è ma stato. Quindi, in
questi casi
non si verifica una rescissione del legame matrimoniale
e dunque non c'è
divorzio, bensì solo la presa di consapevolezza che
tale legame non è mai
sussistito. Cerchiamo ora di chiarire un altro
punto: due coniugi promettono
di amarsi, ma che cosa significa
amare? Che cos'e l'amore a cui si impegnano
vicendevolmente? Amare
una persona non significa, almeno non primariamente,
provare
trasporto verso di essa, avvertirne il fascino, esserne
emotivamente
attratti, «stare bene insieme». L'amore è accompagnato sovente
dal
sentimento, dal fascino, dallo stare bene insieme, ma non coincide
con
il sentimento (che pure è importante), col fascino e con lo
stare bene
insieme. Il greco e non cristiano Aristotele già nel IV
sec. a.C. ha spiegato
che l'amore e un atto della volontà, che amare
significa volere il bene
dell'altro (cfr. Retorica 2,4). Dire «ti
voglio bene» significa cioè «io
voglio il tuo bene», cioè io
desidero il tuo bene, cerco di realizzare il tuo
bene, di
procurarlo, di favorirlo. Per es., anche se mio figlio mi
disgusta
per il suo comportamento, al punto che ne sono
emotivamente
respinto, io lo amo se cerco di favorire lo stesso il suo bene,
la
sua crescita, ecc. Non solo, ma amare una persona significa
amarla
nella sua identità, cioè amare il suo io, che è unico
e
irripetibile, amarla per ciò che è in modo irripetibile, non per
delle
caratteristiche che anche altre persone possono avere, come la
simpatia, la
bellezza, la ricchezza, la gradevolezza, la gentilezza,
ecc. Amare veramente
una persona non significa tendere verso la sua
simpatia, bellezza, ricchezza,
ecc.; chi ama la simpatia, bellezza,
ricchezza di una persona, in realtà non
sta amando quella persona,
ma sta amando se stesso e, consapevolmente o
inconsapevolmente, sta
usando l'altra persona per il proprio bene. È sempre
il grande e non
cristiano Aristotele (Etica Nicomachea 1156a 14-24) a dirlo.
Ciò
significa che due persone sposate, avendo promesso di amarsi per
tutta
la vita hanno promesso di cercare il bene del coniuge, di
amarlo nella sua
identità irripetibile ed unica. Se il contenuto
della loro promessa non era
questo, essi non sono mai stati sposati.
Ebbene, se consideriamo che nel
momento del consenso due sposi si
sono impegnati liberamente e
consapevolmente: a) ad amarsi (cioè a
volere e cercare il bene dell'altro) in
mode esclusivo; b) ad essere
aperti alla vita, possiamo comprendere con la
sola ragione, senza
ricorrere alla fede, che il matrimonio è indissolubile.
Infatti, i
coniugi si sono presi l'impegno di volersi reciprocamente bene,
di
donarsi all'altro, al suo io unico e irripetibile, alla sua
identità
personale. Ora, le caratteristiche fisiche e psicologiche di un
uomo
possono mutare: un uomo bello, simpatico ed estroverso, può
diventare
brutto, antipatico, e introverso; un uomo ricco, famoso
può diventare povero,
disonorato; ma l'identità personale di un uomo
non può mutare: è lo stesso
uomo quello che a vede nelle foto da
neonate, da bambino, da adolescente, da
adulto, da vecchio, anche so
le sue caratteristiche fisiche fossero
completamente cambiate, anche
se da ricco, bello, potente, simpatico, ecc.,
fosse diventato
povero, brutto e antipatico. Ma, allora, se gli sposi si
sono
impegnati ad amare per tutta la vita il coniuge in ciò
che
costituisce la sua identità personale, visto che questa identità
non
muta mai, la loro promessa non può essere sciolta, dunque
il
matrimonio è indissolubile e il divorzio è un atto gravemente
immorale.
Si potrebbe obbiettare: quando tra due coniugi non c'è più
il sentimento
iniziale il matrimonio non sussiste più, perché il
sentimento non si può
produrre. Rispondiamo: a parte il fatto che il
sentimento lo si può in parte
favorire (per es. cercando di vivere
tutta la vita come dei fidanzati, che si
fanno sorprese e regali,
che escono alla sera, ecc.), comunque, come abbiamo
già detto, nel
consenso gli sposi non promettono di restare insieme finché
provano
uno slancio emotivo nel confronti del proprio sposo,
bensì
promettono di cercare il suo bene per tutta la vita. Con
ciò
possiamo anche comprendere perché la separazione, a certe
condizioni,
è ammissibile. I coniugi possono separarsi se si giunge
ad una situazione in
cui la stessa convivenza è diventata veramente
insostenibile. perché essi non
hanno promesso di vivere insieme per
tutta la vita, bensì hanno promesso di
volere il bene dell'altro per
tutta la vita, quindi possono separarsi se la
convivenza provoca
realmente del male all'altro; ma ciascuno dovrà continuare
a cercare
il bene dell'altro, perciò dovrà sempre mantenere la disponibilità
a
tornare a vivere insieme, dovrà cercare di restaurare il rapporto,
cioè
cercare di ripristinare le condizioni della convivenza, in
quanto dalla
convivenza sortisce per ciascuno degli sposi quel bene
che è il mutuo aiuto,
il sostegno e la collaborazione reciproca.
L'esperienza insegna che con
questa disposizione la ricomposizione
non è un'utopia, ed esistono dei casi
di ricongiungimento. Con ciò
abbiamo ricostruito una prima motivazione
dell'indissolubilità del
matrimonio, che vale per qualsiasi matrimonio. Ma se
ne può indicare
una seconda, che vale nel caso in cui dal matrimonio siano
nati dei
figli. E chiaro che il contesto propizio per la nascita, la
crescita
e l'educazione di un figlio è quello di una famiglia stabile
e
solida. Ebbene, il divorzio è una grave ingiustizia nei riguardi
del
figli, li fa sempre soffrire molto, li ferisce psicologicamente
e
affettivamente. Ci sono inoltre studi che rilevano i rischi di
problemi
interpersonali dei figli dei divorziati (Cfr. bibliografia)
e che mostrano
come sia falso sostenere che quando i genitori non
vanno d'accordo è meglio
per i figli che essi divorzino: soltanto
nelle famiglie dove i conflitti sono
fortissimi il bambino può
trarre beneficio dalla eliminazione del conflitto,
ma tale tipo di
conflittualità è rara, perciò nella stragrande maggioranza
dei casi
sarebbe meglio per i figli se i genitori, invece di
divorziare,
rimanessero insieme e affrontassero i loro problemi. Ora, gli
sposi
si impegnano nel momento del matrimonio ad educare e a
crescere
figli. Essendosi presi questo impegno, o anche per il solo fatto
di
aver generato i figli, siccome col divorzio fanno soffrire i
figli,
essi compiono una grave ingiustizia nei loro riguardi. Ci sono
poi
dei dati interessanti (cfr. box) che mostrano che sono molto
più
felici i coniugi che decidono di non divorziare rispetto a quelli
che
decidono di farlo, e che il divorzio e tutt'altro che indolore,
ed ha
rilevanti ripercussioni penali, compresi molti omicidi. A chi
ritiene, come
faceva Montaigne, che il divorzio favorisce la durata
del matrimonio, perché
i mariti amano di più le mogli nel timore di
perderle, bisogna ribattere che
chi sa di essere unito
indissolubilmente cerca in tutti i modi di far andar
bene il
matrimonio; chi invece sa che il matrimonio si può sciogliere,
si
impegnerà di meno per assicurarne la riuscita (per esempio avrà
meno
scrupoli a tradire il coniuge), perché sa che tanto esso non
è
definitivo (uno studente che studia in una scuola difficile, si
impegna
di meno so sa che i suoi genitori lo trasferiranno in una
scuola facile per
evitargli la bocciatura, nel caso in cui egli vada
male). Un'ultima
considerazione. Poiché il matrimonio è
indissolubile, è fondamentale un
cammino accurato di preparazione ad
esso, e non bisogna farsi scoraggiare
dalla rappresentazione offerta
dai media circa il matrimonio: non è vero che
è impossibile restare
insieme tutta la vita e che i matrimoni si
sfasciano
inesorabilmente. Ci sono moltissimi casi di matrimoni riusciti
ed
inossidabili, che non vengono perô mai rappresentati, dove i
problemi
che sorgono vengono superati, e dove la fedeltà non è
rigidità, perché
l'amore ricomincia ogni giorno, e può essere
creativamente inventato ogni
giorno. Perciò il matrimonio non è il
porto dell'amore o la sua morte, ma la
sua scuola, in cui
continuamente si scopre l'inesauribile ricchezza dello
sposo: come
dice Plutarco, l'amore «non solo non va mai soggetto all'autunno,
ma
fiorisce anche tra i capelli bianchi e le rughe, e si prolunga
fino
alla morte e alla tomba». © il Timone n. 30, Febbraio
2004
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