Origini e sviluppo della questione democristiana nella
storia del movimento cattolico dopo la Breccia di Porta Pia:
dall’intransigentismo alla subalternità
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di
Marco Invernizzi
[Da «Cristianità» n. 297 (2000)]
I. Alcune interpretazioni della storia
del movimento democratico cristiano
1. Una "minoranza
illuminata" contro il mondo conservatore
Una lettura particolarmente diffusa nel mondo cattolico interpreta la storia
del movimento democratico cristiano — inteso in senso ampio, comprendente la
corrente sorta all’interno dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici
(1874-1903) negli ultimi anni del secolo XIX — come la lotta di una minoranza
illuminata contro l’inerzia del popolo cristiano, conservatore e reazionario,
incapace di leggere i segni dei tempi. È la lettura riproposta nell’agosto
del 1999 dall’on. Ciriaco De Mita: "Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di
propaganda spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di avere
educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non
reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La Dc prendeva i
voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra" (1). Ma
tale lettura era già stata avanzata vent’anni prima, nel luglio del 1979, dal
professor Pietro Scoppola: "Sturzo era minoritario e all’inizio anche De
Gasperi. Ma nei momenti migliori il filone democratico ha egemonizzato il
mondo cattolico" (2); e, soprattutto, fa parte del modo d’essere, del
codice genetico, del come ama auto-rappresentarsi il militante cattolico
democratico e progressista (3).
Dalla fine del 1800 al nuovo Partito Popolare Italiano, sorto fra il 18 e il
22 gennaio 1994 dalla trasformazione del partito della Democrazia Cristiana,
questa minoranza avrebbe operato come movimento democratico cristiano,
costituendo lo strumento politico di quei cattolici democratici in costante
contrapposizione con il resto del mondo cattolico, considerato bigotto in
religione e conservatore in politica (4). Questa minoranza ha combattuto la
resistenza del mondo conservatore in diverse circostanze.
a. Contro i "veneti"
Il primo scontro è con i "vecchi" cattolici intransigenti
dell’Opera dei Congressi, in particolare con i cosiddetti "veneti",
Giambattista Paganuzzi (1841-1923), Giuseppe Sacchetti (1845-1906), i
fratelli Scotton, don Jacopo (1834-1909), don Andrea (1838-1915) e don
Gottardo (1845-1916), mentre la minoranza democratica era rappresentata
soprattutto da don Romolo Murri (1870-1944), il fondatore del movimento
democratico cristiano in Italia, del cui insegnamento si servirono, fra gli
altri, in modo diverso e senza seguirlo nel suo distacco dalla Chiesa, don
Luigi Sturzo (1871-1959) e Alcide De Gasperi (1881-1954).
b. Contro il Patto Gentiloni
In un secondo momento, a partire dalla crisi politica successiva ai tumulti
scoppiati in tutto il Regno d’Italia nel maggio del 1898 in seguito al
rincaro del pane, i cattolici democratici si scaglieranno contro i cosiddetti
"accordi clerico-moderati", che culminano nel Patto Gentiloni (5)
del 1913, accusando gli artefici di questa strategia politica di rinunciare
all’identità cristiana, costringendo il movimento cattolico ad appiattirsi sul
programma dei liberali moderati.
c. Contro i clerico-fascisti
Analoga divisione opporrà i cattolici democratici nel PPI, dopo la prima
guerra mondiale (1914-1918), all’"ala destra" dello stesso partito,
erede in parte dell’ambiente clerico-moderato, di fronte all’ipotesi di
collaborare con il movimento fascista prima e con il regime dopo il 1922.
Esponenti storici del movimento cattolico, come Giovanni Grosoli (1859-1937)
(6) e Carlo Santucci (1849-1932), prendono la decisione di collaborare con il
regime fascista e a questo fine, uscendo dal PPI, fondano un nuovo movimento,
il Centro Nazionale Italiano, attraverso il quale sviluppano forme di
collaborazione con il regime allo scopo di mantenere visibile una presenza
pubblica dei cattolici in una fase di profonda trasformazione dello Stato.
d. Contro i Comitati Civici
Inoltre, dopo la seconda guerra mondiale (1939-1945) e la vittoria elettorale
del mondo cattolico nelle elezioni del 18 aprile 1948, i cattolici
democratici si scaglieranno contro la parte cattolico-liberale della DC,
rappresentata soprattutto dal presidente del Consiglio De Gasperi, accusata
di eccessivi cedimenti al liberismo economico, ma soprattutto inizieranno una
guerra senza esclusione di colpi contro i Comitati Civici e contro l’Azione
Cattolica, allora guidata da Luigi Gedda, un conflitto che non risparmia
neppure il mondo ecclesiastico, provocando penose ma reali divisioni nel
mondo cattolico tutto (7).
2. L’interpretazione
"moralistica"
Secondo un’altra interpretazione, invece, la storia del movimento democratico
cristiano va letta nell’ottica prevalente o esclusiva della "questione
morale", come avviene soprattutto da parte del Partito Comunista
Italiano di Enrico Berlinguer (1922-1984) negli anni 1980 e come sempre ha
fatto una certa sinistra — laicista e giacobina —, preparando la mentalità
popolare ad accogliere con soddisfazione e con senso di liberazione l’opera
svolta dai magistrati, soprattutto di Milano, che hanno dato vita
all’operazione ancora in corso denominata Mani Pulite. Questa lettura del
movimento democratico cristiano non si preoccupa tanto delle sue origini
quanto d’inserirne la storia nel quadro più ampio del cattolicesimo
contro-riformistico, responsabile di una mentalità ormai radicata fra i
cattolici, privi di senso dello Stato o addirittura animati da un particolare
spirito di rivincita, e quindi incapaci di ragionare in termini di bene
comune.
3. L’ipotesi della "congiura
modernista"
La questione democristiana non è neppure riconducibile a un progressivo
disvelamento di una congiura modernista all’interno del mondo cattolico,
anche se la componente modernista è esistita e ha avuto un ruolo non
secondario nella storia del fenomeno. Fra i primi, in Italia, a lanciare
l’uso dell’espressione "democrazia cristiana", sono Giuseppe
Toniolo (1845-1918), certamente non riconducibile non solo al modernismo ma
neppure al cattolicesimo liberale, e Stanislao Medolago Albani (1851-1921)
(8), che, nella polemica scoppiata all’interno dell’Opera dei Congressi negli
ultimi anni del 1800, cerca di ritagliare un ruolo ai giovani
democratico-cristiani, comprendendo la validità di alcune esigenze da loro
avanzate e l’errore di una posizione immobilista, che non coglieva l’urgenza
e la portata della "questione sociale", dopo la rivoluzione
industriale e l’avanzata del movimento socialista, ed era inoltre troppo
limitata alla protesta per la conquista violenta di Roma da parte dello Stato
italiano, posizione tenuta dagli intransigenti come Paganuzzi.
II. Gli effetti della Questione Romana
sul movimento cattolico italiano
Per impostare una storia del movimento democratico cristiano in Italia, anche
solo in abbozzo, bisogna partire dalla Questione Romana (9), almeno dalla
Breccia di Porta Pia, nel 1870, e quindi dalle sua conseguenze. Infatti, il
problema posto dal movimento democratico cristiano riguarda l’atteggiamento
che i cattolici dovrebbero tenere nei confronti del mondo moderno, nei suoi
aspetti sia ideologici che istituzionali. È un problema che tocca la fede e
la morale, che riguarda in modo particolare l’atteggiamento della Chiesa
cattolica di fronte alla sfida delle ideologie, ma che in Italia investirà
soprattutto l’aspetto della cultura politica e il comportamento che il
movimento cattolico avrebbe dovuto assumere verso i partiti concorrenti,
quello liberale e quello socialista, soprattutto nel 1800, a cui si dovranno
aggiungere il nazionalismo e il fascismo nel periodo precedente e seguente la
prima guerra mondiale.
Infatti, l’attenzione dei cattolici era a tal punto concentrata sulla
Questione Romana da far passare in secondo piano tutto il resto; e non senza
ragioni oggettive, se soltanto si pensa cosa può aver rappresentato per la
mentalità cattolica dell’epoca l’invasione militare dello Stato pontificio da
parte dell’esercito del Regno d’Italia con la conseguente caduta di tutta la
penisola sotto un regime esplicitamente anticattolico. Tuttavia, un altro
problema incombeva sul mondo cattolico italiano ed era quello relativo al
rapporto con lo Stato moderno, sia da un punto di vista dottrinale che
storico-operativo. Era il problema sollevato dai democratico-cristiani.
Polarizzati attorno alla Questione Romana, i cattolici intransigenti nel 1874
avevano dato vita all’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, con la
quale avevano organizzato il paese reale, ancora a grande maggioranza
cattolica, in opposizione a quello legale, governato da liberali e
ideologicamente influenzato dalla massoneria. L’Opera dei Congressi, che
rappresentava il movimento cattolico ufficiale, con poche resistenze nella
Gerarchia e con resistenze più che altro operative, dovute all’inerzia, fra i
parroci e i fedeli, riuscirà a costruire un tessuto sociale, soprattutto
nell’Italia Settentrionale, in grado di permettere al popolo di rimanere
radicato nella fede, ma anche nelle strutture visibili della Chiesa, in
particolare attorno alla parrocchia. Questa fase caratterizzerà la storia del
movimento cattolico dalla fondazione dell’Opera dei Congressi fino al
Congresso Cattolico di Milano, nel 1897, che costituirà l’"apogeo
dell’intransigentismo", seguito però dal declino, cominciato già
nell’anno successivo, dopo i luttuosi fatti di sangue del 1898, e alle
conseguenti trasformazioni nella vita politica nazionale che incideranno
anche sul mondo cattolico, dividendolo fra conservatori e progressisti di
fronte all’ascesa del movimento socialista e all’ipotesi che quest’ultimo
potesse entrare nell’area di governo.
Tuttavia rimaneva il vuoto politico relativamente alla presenza pubblica dei cattolici,
un vuoto non colmato dal non expedit —
cioè dal divieto, rivolto ufficialmente dalla Gerarchia ai fedeli nel 1874,
di partecipare alle elezioni politiche —, che peraltro aveva ottenuto il
risultato di coagulare le forze cattoliche nella costruzione di strutture
sociali e nella pubblica protesta contro i "fatti compiuti", che
avevano provocato la "prigionia" del Papa nei palazzi vaticani.
Principalmente su questo vuoto s’inserisce l’azione dei democratici
cristiani.
Peraltro non era una novità. Già i cattolici transigenti, negli ultimi
decenni del 1800, in particolare dopo l’elezione al soglio pontificio di Papa
Leone XIII (1878-1903), con gl’incontri presso l’abitazione romana del conte
Paolo Campello della Spina (1829-1917), nel 1878 (10), avevano tentato di
favorire la costituzione di un partito conservatore nazionale che sancisse la
fine del conflitto fra Chiesa e Monarchia e restituisse all’Italia la pace
religiosa.
Nuova invece, e opposta a quella del tentativo conservatore, era l’impostazione
ideologica dei democratici cristiani e del loro progetto. Cresciuti
all’interno dell’Opera dei Congressi, soprattutto attorno alla figura
carismatica del giovane prete marchigiano don Murri, i democratici cristiani
italiani spingeranno la loro intransigenza contro lo Stato liberale fino ad
arrivare a ipotizzare la collaborazione con il movimento socialista. Essi non
colgono la caratteristica di processo dell’opera di scristianizzazione del
popolo e, soprattutto dopo il 1898, cresce la loro critica agli accordi
elettorali fra cattolici e moderati parallelamente all’insofferenza verso la
gerarchia ecclesiastica e a quella dell’Opera dei Congressi. Favoriti nelle
loro esigenze, ritenute corrette dal nuovo presidente dell’Opera dei
Congressi, Grosoli, coadiuvato anche da Toniolo e da Medolago Albani, i
democratici cristiani avrebbero potuto indossare le indicazioni del Magistero
pontificio in tema di democrazia cristiana — contenute nell’enciclica Graves de communi di Papa Leone XIII (11) e
nella lettera Notre charge apostolique di
Papa san Pio X (1903-1914) (12) —, che la presentavano come azione benefica a
favore del popolo, purché non venisse messa in discussione l’origine divina
dell’autorità attraverso la nozione di sovranità popolare. Ma così non sarà.
Spinti dalla ribellione di don Murri a rifiutare esplicitamente l’autorità
della Chiesa — una ribellione a cui non fu estranea l’influenza del
modernismo, l’eresia condannata da Papa san Pio X soprattutto nell’enciclica Pascendi dominici gregis, del 1907 —, non sono in
molti a seguirlo sulla via della rottura e vengono dispersi dalle condanne
pontificie. La costituzione di una Lega Democratica, fedele alla Chiesa pur
continuando a professare le idee democratiche cristiane, non ha grande
successo. Ma se era stata debellata la ribellione, non scompaiono la
mentalità e l’eredità di Murri, che, purificate da ogni riferimento al
modernismo e alla riforma della Chiesa, verrà mantenuta e ripresa, negli
aspetti politici, soprattutto da don Sturzo, il quale, proprio negli anni
precedenti la prima guerra mondiale, cominciava la lunga marcia verso la
costituzione di un partito aconfessionale, che si sarebbe chiamato PPI.
Ostile agli accordi clerico-moderati perché accusati di spegnere l’identità
cattolica, don Sturzo si proponeva di costituire un partito che non
coinvolgesse direttamente la Chiesa nella competizione politica, ma si
presentasse all’elettorato con un proprio programma, democratico, ispirato ai
princìpi cattolici, ostile a ogni forma di conservatorismo. Tale lavoro di
preparazione si concretizza nel 1919, quando nasce ufficialmente il PPI, di
cui don Sturzo è il primo segretario.
In realtà, contro le speranze dello stesso don Sturzo e soprattutto in
seguito agli effetti culturali e di costume provocati dalla prima guerra
mondiale, si manifesta proprio in questo tempo una subalternità dei cattolici
nei confronti delle altre forze ideologiche, quale mai si era vista fino ad
allora.
III. La Grande Guerra e la subalternità
dei cattolici
Gli effetti della Grande Guerra sono stati ampiamente studiati e molti ne
hanno descritto la portata epocale, tanto che da essa si fa partire il
cosiddetto "secolo breve", il secolo delle ideologie. "[...] com’era possibile che il mondo fosse cambiato a tal punto?",
chiedeva nel 1934 lo scrittore austriaco Alexander Lernet-Holenia
(1897-1976), convertito al cattolicesimo nel 1923 (13), e il quesito vale
anche per il rapporto fra i cattolici, in particolare quelli italiani, e il
mondo a loro contemporaneo. Evidenzio nella Grande Guerra l’esplosione della
subalternità culturale e politica dei cattolici italiani non perché con essa
si realizzi la conciliazione con le istituzioni dopo il Risorgimento, che era
nella logica delle cose, anche per la sostanziale impossibilità per le forze
politiche contendenti di prescindere dall’esistenza dell’avversario. Il
problema è invece il prezzo pagato affinché questo avvenisse, cioè il
sostanziale riconoscimento della giustezza dell’intervento del Regno d’Italia
in guerra a fianco dei paesi dell’Intesa, stravolgendo, nel giro di mesi, le
alleanze precedenti per ottenere quei compensi territoriali che avrebbe
potuto avere restando neutrale, e disattendendo completamente le indicazioni
di Papa Benedetto XV (1914-1922) contro l’"inutile strage". Il problema non
poteva essere l’amore per la patria. Chi avrebbe potuto dimostrare che
l’amore alla patria comportasse il suo coinvolgimento in una guerra mondiale
assolutamente ideologica, scatenata per servire solo "sacri
egoismi" nazionali contrapposti, d’immensa portata distruttiva, già
intuibile quando il Regno d’Italia entra nel conflitto, nel 1915, a un anno
dal suo inizio? Eppure i democratici cristiani saranno a fianco dei liberali
non giolittiani, dei nazionalisti, dei socialisti che seguono l’interventista
Benito Mussolini (1883-1945), e della massoneria che spinge alla guerra.
"Si doveva però rivelare
posizione debole e politicamente subordinata"
(14) quella dei cattolici italiani, incapaci di dare visibilità politica agli
appelli per la pace lanciati dal Pontefice, subalternità resa più grave dal
fatto che gl’italiani che avessero mantenuto una posizione neutrale nel
conflitto non sarebbero andati incontro alle difficoltà dei cattolici belgi o
francesi, la cui terra era invasa da eserciti stranieri, o dei cattolici
austriaci, il cui governo chiedeva legittimamente alla Serbia di cooperare
per stroncare le forze nazionaliste responsabili, almeno moralmente,
dell’assassinio dell’arciduca ereditario Francesco Ferdinando d’Asburgo
(1863-1914) a Sarajevo, causa prossima del conflitto.
IV. Il periodo fascista
La subalternità dei cattolici italiani appare in tutta la sua evidenza dopo
la guerra. Nonostante i successi elettorali del PPI, il mondo cattolico non
sa o non può imporre i propri temi all’ordine del giorno del dibattito
politico nazionale, anche e soprattutto perché aveva rinunciato alle proprie
idee-forza, come la Questione Romana e il neutralismo. Inoltre, i cattolici
non sanno cogliere la pericolosità dell’incremento socialista e sono sostituiti
dai fascisti nella lotta contro il pericolo rosso che, soprattutto dopo la
Rivoluzione d’Ottobre, non era sottovalutabile.
Il risultato non è soltanto la subalternità culturale e politica, ma anche la
divisione, così che si arriva alla spaccatura del PPI fra filofascisti —
l’Unione Nazionale di Carlo Ottavio Cornaggia Medici (1851-1935) e poi il
Centro Nazionale Italiano di Grosoli e di Santucci — e antifascisti, come lo
stesso don Sturzo.
Subalterni e divisi, i cattolici italiani cadono nel lungo sonno durato i
vent’anni del regime fascista. Un mondo cattolico, appagato dalla
Conciliazione del 1929, si adagia sui privilegi concessi dallo Stato alla
presenza pubblica della Chiesa in Italia; questo atteggiamento viene
interrotto soltanto dallo scontro fra Chiesa italiana e regime fascista
avvenuto, nel 1931, sul ruolo dell’Azione Cattolica e sul problema
dell’educazione giovanile, da entrambe le realtà ritenuta decisiva per il
futuro delle rispettive presenze nella società. L’unico vero e proprio limite
posto alla Chiesa dallo Stato era quello di lasciare libero lo spazio
politico, che doveva essere riservato al partito fascista. Ciò comportava
l’abbandono dei democratici cristiani del PPI e costa l’esilio a don Sturzo.
Iniziata, o comunque esplosa dopo la prima guerra mondiale, la subalternità
dei cattolici italiani nei confronti del regime fascista cresce dopo il 1922,
quando la politica della Santa Sede mirava a una trasformazione del regime
dall’interno e all’obiettivo di realizzare il Concordato nel più breve tempo
possibile. Quando verrà siglata la Conciliazione, nel 1929, sembra
realizzarsi il sogno sia dei cattolici intransigenti che dei conciliatoristi,
perché la Chiesa riottiene la libertà perduta con la Breccia di Porta Pia e
la Monarchia cessa di apparire come la causa della prigionia del Papa. Così,
con la Conciliazione, si chiude definitivamente l’esperienza del movimento
intransigente — peraltro già esauritasi da un punto di vista organizzativo —,
ma anche il Centro Nazionale dei cattolici usciti dal PPI per appoggiare il
fascismo cessa ogni attività organizzata dopo il 1929. Lo stesso accadrà ai
cattolici cosiddetti integrali, riuniti attorno alla rivista Fede e ragione, che chiude nello stesso
anno. Più attenti degli altri all’importanza della battaglia culturale, e
quindi meno disponibili ad accettare posizioni subalterne nei confronti delle
ideologie dominanti, questi cattolici non trovano spazio all’interno del
regime e lasciano soltanto un’eco di antiche battaglie, con qualche ritorno
di visibilità in occasione della guerra civile spagnola nel 1936, ma senza
tornare a esprimere alcuna realtà organizzata.
Profondamente ridimensionati, in esilio o in patria, ma inoperosi, i
democratici cristiani sono costretti ad aspettare tempi migliori. Questi
verranno quando, durante e dopo il conflitto, il movimento cattolico italiano
si troverà di fronte alla grande opportunità di provare quella
riconciliazione fra la Chiesa e il popolo italiano ricercata ormai da diversi
decenni.
V. Dopo la seconda guerra mondiale
Durante il periodo fascista, il movimento cattolico aveva potuto operare alla
luce del sole, particolarmente attraverso le parrocchie e le strutture
dell’Azione Cattolica, e la sua ramificazione sul territorio era rimasta
l’unica alternativa non clandestina a quella del Partito Nazionale Fascista.
Alla caduta del regime, il mondo cattolico si trova a essere già presente e
operante in mezzo alla popolazione, alleviandone le sofferenze morali e anche
materiali e soprattutto cercando di spegnere l’odio che cresceva nella vita
del popolo in seguito alla guerra civile. Contemporaneamente si costituiva
anche il partito della DC, attorno agli ex popolari guidati da De Gasperi e
dal gruppo milanese raccolto da Pietro Malvestiti (1899-1964) sulla scia
dell’esperienza del cosiddetto Movimento Guelfo, nato nella clandestinità
durante il regime. Ben presto confluiscono nella DC le componenti della
sinistra, fra cui il gruppo facente capo a Domenico Ravaioli (1896-1979),
quello di Giovanni Gronchi (1887-1978) e dei sindacalisti bianchi, e quello
compattatosi intorno a Giuseppe Dossetti (1913-1996) (15), con Amintore
Fanfani (1908-1999), Giuseppe Lazzati (1909-1986) e Giorgio La Pira
(1904-1977).
La grande stima di cui godeva la Chiesa presso la popolazione, dovuta
principalmente all’opera del clero secolare e regolare, in particolare dei
parroci, la costituivano punto di riferimento nazionale, anche complice il
crollo delle istituzioni dopo l’8 settembre 1943. A essa si opponeva soltanto
il PCI, con un consistente seguito popolare, riorganizzatosi rapidamente e
cresciuto d’importanza politica soprattutto grazie alla Resistenza e alla
guerra civile. Ma proprio il PCI, il "partito nuovo" voluto da
Palmiro Togliatti (1893-1964) dopo il suo rientro da Mosca nel 1944, era
talmente conscio del profondo legame che univa la popolazione italiana alla
Chiesa cattolica, da trasformarsi in modo da rendersi capace di operare per
mutare il senso comune della gente senza impegnarsi in una contrapposizione
religiosa, che sarebbe stata solo dannosa per i comunisti.
Nonostante le condizioni favorevoli, la riconciliazione fra la nazione e la
Chiesa non si va estendendo ma, al contrario, va progressivamente crescendo
una frattura culturale che porta alla scristianizzazione.
Non descrivo tutti i passaggi significativi di questa autentica Rivoluzione
culturale, che porta la nazione italiana ad allontanarsi dalle sue radici e
dalla sua vocazione attraverso il laicismo, denunciato dai vescovi nel 1960,
la contestazione del Sessantotto con la sua deriva terroristica e
nichilistica, l’ascesa del PCI nell’area di governo negli anni dal 1976 al
1979, fino al governo guidato dall’on. Massimo D’Alema e composto da
comunisti, post-comunisti e post-democristiani. Mi limito a indicare alcuni
episodi caratterizzanti tale processo. Sono episodi che indicano come la
subalternità, che prende il sopravvento nel mondo cattolico nel secondo
dopoguerra, non rifletta più, come per esempio negli anni precedenti la
Grande Guerra e anche di fronte al fascismo, la difficoltà e l’incertezza di
una scelta fra diverse possibilità, ma sia una subalternità a senso unico,
ideologica, tributaria di una concezione della storia come continuo e
inevitabile progresso verso l’utopia. Si tratta quindi una subalternità
culturale verso qualsiasi prospettiva di sinistra, sia quella
"forte" del progetto marxista, che quella "debole" del
relativismo nichilista. Episodi che sottolineano l’autentica drammaticità dei
due discorsi pronunciati da Papa Paolo VI (1963-1978), nel 1968 e nel 1972, a
proposito di "autodemolizione"
della Chiesa e di "fumo di Satana"
penetrato nel sacro recinto della Chiesa stessa negli anni successivi al
Concilio Vaticano II (1962-1965).
a. Il "referendum" contro il
divorzio
Il primo episodio riguarda l’Appello
dei cattolici democratici per il no nel referendum contro
il divorzio, lanciato il 17 febbraio 1974. A esso aderiscono intellettuali
come Scoppola, Francesco Traniello, Ettore Passerin d’Entrèves e di
Courmayeur (1914-1990), Luigi Pedrazzi, Paolo Brezzi (1910-1998) e Giuseppe
Alberigo, alcuni dei quali tuttora sulla breccia e pluri-invitati anche in
assise ufficiali del mondo cattolico, oltre a giornalisti come Guglielmo
Zucconi, Sandro Magister, Giancarlo Zizola e Ruggero Orfei. Così come va
ricordata l’impossibilità, da parte di uno dei promotori del referendum, il
professor Sergio Cotta, di tenere una manifestazione contro il divorzio nella
sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, tappezzata di
manifesti a favore del divorzio, anche su pressione dell’allora rettore
Lazzati, notoriamente contrario al referendum
stesso. Questo dimostra come la subalternità in questione non debba essere
tanto imputata alla DC in quanto partito — o, almeno, non soprattutto a essa
—, ma al progetto dei cattolici democratici.
b. La legalizzazione dell’aborto
Il secondo episodio riguarda l’introduzione della legge 194, il 22 maggio
1978, che legalizza l’aborto. Voglio ricordare le amare, ma vere, parole
contenute nel diario di Lucia Barocchi, del Movimento per la Vita di Firenze,
presente nella tribuna del Senato durante l’ultima seduta: "Per la prima
volta nel mondo un Governo formato esclusivamente di uomini di ispirazione
cristiana non ha fatto nulla, se non peggio che nulla, per impedire
l’approvazione di una legge che impegna lo Stato a sopprimere chi non ha voce
per difendersi.
"Sull’atto di promulgazione
della legge non figurerà il nome di alcun abortista: cattolico il presidente
della Repubblica, cattolico il presidente del Consiglio, cattolici i ministri
della Giustizia e Sanità, cattolici tutti gli altri ministri e sottosegretari
nessuno dei quali ha ritenuto di dissociarsi pubblicamente dall’operato del
Governo" (16). Ricordo nominatim questi ministri, oltre al
presidente della Repubblica Giovanni Leone, pochi giorni dopo costretto alle
dimissioni per motivi d’altra natura; sono Giulio Andreotti, Tina Anselmi,
Francesco Paolo Bonifacio (1923-1989), Tommaso Morlino (1925-1983) e Filippo
Maria Pandolfi, tutti democristiani. Vale la pena di ricordare anche i nomi
dei senatori di area cattolica, che votarono addirittura a favore della legge
per non rompere la solidarietà con i partiti nei quali erano stati eletti:
Brezzi, Mario Gozzini, Antonio Guarino, Raniero La Valle e Livio Labor
(1918-1999).
È il 1981, forse, l’anno in cui si raggiunge il massimo di subalternità del
mondo cattolico italiano: eppure non tutti sembrano essersene accorti, come
lo storico e parlamentare democristiano Gabriele De Rosa, che nel suo Diario
politico 1968-1989 non dedica una riga né all’introduzione della legge
sull’aborto né al referendum abrogativo del 1981 (17). Eppure, com’è scritto
in un editoriale de La Civiltà Cattolica che ricorda l’omicidio di Aldo Moro
(1916-1978), commesso pochi giorni prima dell’approvazione della legge,
"ciò che avviene in questi
giorni al Senato è più grave, sotto il profilo generale e per quanto riguarda
il futuro immediato ma anche lontano del nostro Paese, di quanto avvenne il
16 marzo in via Fani" (18).
Se, in un sussulto di dignità e di responsabilità, i ministri e il presidente
della Repubblica non avessero firmato la legge 194, forse la DC avrebbe
perduto la titolarità del governo, ma certamente avrebbe dato un segnale al
popolo e ai cattolici, con possibili grandi conseguenze. E certamente sarebbe
stato un segnale di rifiuto di subalternità, tanto più significativo quanto
più pubblicamente rilevante.
VI. Verso la "nuova
evangelizzazione"
Dopo il 1981 molte cose sono cambiate in Italia e nel mondo. Un anno, il 1989,
verrà ricordato come discriminante fra due epoche. La caduta del Muro di
Berlino non riguarda però soltanto i regimi comunisti che implodono, ma
produce come conseguenza, in Italia, la trasformazione del PCI in Partito
Democratico della Sinistra e poi nei Democratici di Sinistra, e la fine della
DC (19), spaccatasi in diversi partiti, confluiti nei due Poli che si
contrappongono alle elezioni dal 1994.
Se finisce il partito della DC, non poteva cessare automaticamente la
subalternità culturale che l’aveva generato e contraddistinto. Nessuno può
immaginare d’invertire una rotta culturale nel corso di pochi anni, ma molti
segnali inducono alla speranza, anche a quella umana, a cominciare dal
discorso di Loreto di Papa Giovanni Paolo II, nel 1985 (20), per arrivare
all’Assemblea della Scuola Cattolica conclusasi sabato 30 ottobre 1999 in
piazza San Pietro con il discorso del Papa ai duecentomila presenti, che
chiedevano la parità giuridica ed economica nella scuola italiana, per
ottenere quell’elementare principio di giustizia mai raggiunto in
cinquant’anni di governi democristiani. La "nuova evangelizzazione"
sta cominciando a investire anche l’ambito della cultura e, in particolare,
della cultura politica del mondo cattolico italiano.
Marco Invernizzi
* Testo, rielaborato e annotato, della relazione con lo stesso titolo
presentata al convegno Dalla
"cristianità perduta" alla "nuova evangelizzazione".
Origini e problemi della presenza dei cattolici nella storia politica
italiana, promosso da Cristianità e da Alleanza Cattolica, in
collaborazione con la Regione Lombardia. Settore Trasparenza e Cultura, e
svoltosi a Milano il 6-11-1999 (cfr. Giuseppe Bonvegna, Dalla "cristianità perduta" alla "nuova
evangelizzazione". Origini e problemi della presenza dei cattolici nella
storia politica italiana, in Cristianità, anno XXVII, n. 295-296,
novembre-dicembre 1999, pp. 14-17).
***
(1) Ciriaco De Mita, "No alla conta o
il PPI sparirà", intervista a cura di Felice Saulino, in Corriere della Sera, 23-8-1999.
(2) Pietro Scoppola, "Il futuro è di
Wojtyla e Berlinguer", intervista a cura di Fausto De Luca, in la Repubblica, 10-7-1979; cfr. anche il mio
Appunti sulla storia e sul
"progetto" dei "cattolici democratici", in Cristianità, anno XVI, n. 156-157, aprile-maggio
1988, pp. 5-9.
(3) Cfr. tale lettura della presenza pubblica dei cattolici in Italia nelle
opere più diffuse sulla storia del movimento cattolico, scritte da autori di
area cattolico-democratica: la più importante e conosciuta — anche per la
qualificazione dei membri del Comitato scientifico e per i coordinatori
regionali, che ne fanno un’opera collettiva a tutti gli effetti — è il Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980,
diretto da Francesco Traniello e Giorgio Campanini, 5 voll., Marietti, Casale
Monferrato (Alessandria) 1981-1984, volumi ai quali si è aggiunto, diretto
dagli stessi autori, un Dizionario storico del
movimento cattolico. Aggiornamento 1980-1995,
Marietti 1820, Genova 1997. L’autore che ha maggiormente influenzato la
storiografia di area cattolica è Gabriele De Rosa, di cui cfr., fra le altre
opere, Il movimento cattolico in
Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana,
Laterza, Bari 1988; e Il Partito popolare
italiano, Laterza, Bari 1974.
(4) Cfr. un’interpretazione della "questione democristiana", alla
quale mi sono sostanzialmente ispirato, in Giovanni Cantoni, La "questione democristiana", in
Idem, La "lezione
italiana". Premesse, manovre e riflessi della politica di
"compromesso storico" sulla soglia dell’Italia rossa. In appendice
l’Atto di consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria,
Cristianità, Piacenza 1980, pp. 41-54. Cfr. una storia del movimento
cattolico, nel mio Il movimento cattolico
in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della seconda
guerra mondiale (1874-1939), 2a ed. riveduta,
Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995.
(5) Sul Patto Gentiloni, cfr. il mio L’Unione
Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico
unitario dei cattolici. Con un’appendice documentaria,
Cristianità, Piacenza 1993.
(6) Cfr. la mia voce Grosoli, in Dizionario del Pensiero Forte, a cura dell’IDIS.
Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, in Secolo d’Italia, 15-10-1999.
(7) Cfr. i miei "18 aprile 1948.
Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare", in Cristianità, anno XXVI, n. 281, settembre 1998, pp.
13-16; e Democrazia Cristiana e mondo
cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), ibid., n.
277, maggio 1998, pp. 19-23.
(8) Cfr. la mia voce Stanislao Medolago
Albani, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", a
cura di Giovanni Cantoni, con una presentazione di Gennaro Malgieri,
Cristianità, Piacenza 1997, pp. 161-166.
(9) Cfr. Renato Cirelli, La Questione Romana.
Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia,
Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1997.
(10) Cfr. Giuseppe Ignesti, il
tentativo conciliatorista del 1878-1879. Le riunioni romane di Casa Campello,
Editrice A.V.E., Roma 1988.
(11) Cfr. Leone XIII, Enciclica
Graves de communi sulla democrazia cristiana, del
18-1-1901, in Tutte le encicliche e i
principali documenti pontifici emanati dal 1740. 250 anni di storia visti
dalla Santa Sede, a cura di Ugo Bellocchi, vol. VI, Leone XIII (1878-1903), parte seconda: 1892-1903,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 416-425.
(12) Cfr. San Pio X, La concezione
secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi
francesi "Notre charge apostolique", del
25-8-1910, trad. it., Cristianità, Piacenza 1993.
(13) Alexander Lernet-Holenia, Lo
stendardo, trad. it., Adelphi, Milano 1989, p. 109, cit. in Antonio
Gibelli, L’officina della guerra. La
Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale,
Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 13. Cfr. un quadro della prima guerra
mondiale e l’Italia, in Piero Melograni, Storia politica della grande guerra 1915-1918,
Mondadori, Milano 1998.
(14) Guido Formigoni, L’Italia dei
cattolici. Fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, il
Mulino, Bologna 1998, p. 78.
(15) Cfr. il mio Nota su Giuseppe
Dossetti e sul dossettismo, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 3-6.
(16) Lucia Barocchi, Aborto/Per memoria
nostra, vostra, dei figli dei figli, in Studi Cattolici, anno XXII, n. 209, luglio
1978, pp. 479-482 (p. 479); cfr. anche un bilancio ricco d’informazioni, in
Alfredo Mantovano, Dieci anni d’aborto in
Italia, in Cristianità, anno
XVI, n. 161, settembre 1988, pp. 5-10; e Idem, La Democrazia Cristiana e l’aborto: perché fu "vero
tradimento", ibid., anno XXII, n. 232-233, agosto-settembre 1994, pp.
13-15.
(17) Cfr. Gabriele De Rosa, La
storia che non passa. Diario politico 1968-1989, a
cura di Sara Demofonti, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1999.
(18) I cristiani di fronte alla
legalizzazione dell’aborto, in La Civiltà Cattolica, anno 129, n. 3070,
20-5-1978, pp. 313-322 (p. 313).
(19) Cfr. G. Cantoni, "Requiem"
per un suicidio: la fine del "popolarismo", in Cristianità, anno XXIII, n. 240, aprile 1995, pp.
3-4.
(20) Cfr. Giovanni Paolo II, Per
iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana.
Loreto, 11 aprile 1985, Cristianità, Piacenza 1985, 3a ed.
La Pira Giorgio La Pira «addormenta e sconnette il fronte anticomunista della Chiesa cattolica, sbugiarda la Chiesa del Silenzio, avvelena le organizzazioni cattoliche come l’Università Cattolica legata a lui da particolari vincoli francescani, alcuni settori dell’Azione Cattolica, le Acli». Così Luigi Gedda, padre dei Comitati Civici che portarono la Dc al trionfo elettorale del 1948, criticava, in un testo del 1955, l’allora sindaco democristiano di Firenze. Per Gedda, La Pira era talmente ambizioso da fare tutto ciò al solo scopo di ottenere il Nobel per la Pace. Al contrasto politico tra Gedda e La Pira è dedicato un saggio di Marco Paolino, pubblicato sul nuovo fascicolo della rivista Nuova Antologia (ed. Le Monnier). PGiorgio La Pira «addormenta e sconnette il fronte anticomunista ...della Chiesa cattolica, sbugiarda la Chiesa del Silenzio, avvelena le organizzazioni cattoliche come l’Università Cattolica legata a lui da particolari vincoli francescani, alcuni settori dell’Azione Cattolica, le Acli». Così Luigi Gedda, padre dei Comitati Civici che portarono la Dc al trionfo elettorale del 1948, criticava, in un testo del 1955, l’allora sindaco democristiano di Firenze. Per Gedda, La Pira era talmente ambizioso da fare tutto ciò al solo scopo di ottenere il Nobel per la Pace. Al contrasto politico tra Gedda e La Pira è dedicato un saggio di Marco Paolino, pubblicato sul nuovo fascicolo della rivista Nuova Antologia (ed. Le Monnier). Paolino cita documenti conservati nel Fondo Gedda dell’Archivio dell’Istituto per la Storia dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia Paolo VI di Roma. Gedda, presidente dell’Azione Cattolica, considerava nefasta qualsiasi forma di dialogo fra cattolici e comunisti. E in quest’ottica contrastò le aperture di La Pira, che invece sognava il superamento dello scontro tra Est e Ovest e la fine della Guerra Fredda. Il Giornale, I/02aolino cita documenti conservati nel Fondo Gedda dell’Archivio dell’Istituto per la Storia dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia Paolo VI di Roma. Gedda, presidente dell’Azione Cattolica, considerava nefasta qualsiasi forma di dialogo fra cattolici e comunisti. E in quest’ottica contrastò le aperture di La Pira, che invece sognava il superamento dello scontro tra Est e Ovest e la fine della Guerra Fredda. Il Giornale, I/02
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